Ciao Followers, come state?
Avete visto che il nostro ateneo ha pubblicato il bando per prendere parte all’Erasmus? È ormai una vera e propria istituzione per gli studenti universitari di tutto il mondo, e sono sicura che avrete sentito o letto questa parola un milione di volte. Ma sapete davvero di cosa si tratta? L’Erasmus, acronimo di European Region Action Scheme for the Mobility of University Students, è il programma di mobilità studentesca nato nel 1987 dalla collaborazione tra l’associazione studentesca AEGEE e la Commissione Europea. Quest’anno spegne quindi 30 candeline. E durante questi 30 anni, sono milioni i ragazzi e le ragazze che l’hanno usato per aggirarsi per l’Europa (e non solo), vivendo per un periodo che va dai 3 ai 9 mesi in una città straniera, frequentandone l’università oppure svolgendovi un tirocinio. Tra questi ci sono anche io, che oggi voglio raccontarvi la mia esperienza.
Nel 2013 ho infatti riempito le valigie di maglioni, aspettative e paure, e sono salita su un aereo che mi ha portata a Kassel, in Germania, dove sono rimasta un semestre in qualità di exchange student. Ricordo ancora la sera di fine marzo in cui sono arrivata: si moriva di freddo, il mio cellulare era fuori uso, non capivo una parola di tedesco e non sapevo come raggiungere lo studentato. Insomma, la prima cosa a cui ho pensato è stata: fatemi tornare a casa! L’impatto non è stato dei più felici, ma è bastato pochissimo perché l’Erasmus si trasformasse per me in un’avventura incredibile, che mi ha insegnato tanto.
Mi ha insegnato ad approcciarmi allo studio in un modo diverso rispetto a quello che avevo sempre usato. In Germania non esistono tomi da 500 pagine da studiare, e gran parte della valutazione del docente dipende dall’interesse mostrato e dagli interventi fatti in classe. Sapete cosa si prova a starsene in piedi di fronte a 20 tedeschi che ti fissano mentre esponi la tua presentazione in una lingua che non è la tua? Be’, posso dirvi quello che ho provato io: il desiderio che nel pavimento si aprisse una crepa e mi inghiottisse.
Mi ha insegnato ad adattarmi a una cultura totalmente estranea alla mia. Non sarei sincera se dicessi che è stato sempre facile e immediato, ma certo è che ci sono stati usi e costumi che ho accolto con grande piacere (qualcuno ha parlato di birra alle 10 del mattino?).
Mi ha insegnato che le amicizie che vanno oltre le differenze linguistiche, religiose e culturali non sono soltanto possibili, ma bellissime. Una piccola ma importante parte della persona che sono oggi la devo a tutti coloro che ho conosciuto all’estero: spagnoli, francesi, americani, irlandesi, turchi. Alcuni di loro sono stati la mia seconda famiglia durante quei sei mesi e continuano a essere tra i miei amici più cari, poco importa se ci sono 1000 o 10000 chilometri tra noi.
Mi ha insegnato che sentirsi a casa in un posto così lontano e così diverso da quello in cui sei nato e cresciuto è una sensazione strana ma magica, che ti coglie nei momenti più insignificanti: mentre cammini per le trafficate vie del centro una domenica pomeriggio e ti rendi conto di capire quello che le persone attorno a te stanno dicendo, oppure quando sei sull’autobus, di ritorno dall’università, e riconosci tutti gli edifici che ti sfilano accanto.
È una cosa che non avrei mai immaginato, ma in quella cittadina nel cuore della Germania ci ho lasciato un pezzetto di cuore. E quindi quello che mi sento di consigliarvi è cogliere al volo questa opportunità, fare un respiro profondo e buttarsi a capofitto. Di sicuro non ve ne pentirete.
Univrtellers | Francesca